martedì 13 gennaio 2015

Fellini, Castaneda e il cibo


Da qualche tempo Rizzoli ci permette di fare la più indiscreta delle azioni: curiosare nel diario dei sogni di un altro. L’altro è Federico Fellini e i suoi privatissimi appunti onirici sono diventati Il Libro dei Sogni. Non conosco nessun’altra persona il cui diario dei sogni si sia trasformato in un libro di lusso.

Un personaggio che appare nei sogni felliniani con tratti semidivini, seppure una sola volta, è Carlos Castaneda.

Fellini lo inseguì quindici anni per trarre un film dai suoi libri. Quando però si recò in America per realizzare questo progetto, insieme allo scrittore Andrea de Carlo nelle vesti di sceneggiatore, si verificò una serie di eventi bizzarri. Per chi non conoscesse l’argomento, il viaggio è stato raccontato da Fellini sul Corriere della Sera e in un fumetto illustrato da Milo Manara, Viaggio a Tulum (qui un’ottima intervista al grande riminese sull’argomento); il punto di vista di Andrea de Carlo è nel romanzo Yucatan (qui una sua intervista); l’opinione di Carlos Castaneda su Fellini è nell’intervista da lui rilasciata a Cesare Medail; il sito di una delle donne che venne coinvolta a LA in questo rocambolesco viaggio è invece qui.

Si vede subito che la materia è aggrovigliata e probabilmente inestricabile. A me ricorda un koan Zen, ovvero “una domanda per cui non esiste risposta”.

Qui si metterà in luce una piccola coincidenza. Castaneda parla di Fellini esclusivamente dal punto di vista del cibo: ci dice che mangiava male, tanto da “spaventarlo”. Questo dettaglio di per sé non rivela nulla; il fatto è che nel libro di de Carlo (“vero al settanta per cento”) vediamo che i rapporti tra Castaneda e Fellini cominciano effettivamente a raffreddarsi durante una cena al ristorante, allorché Fellini esprime negatività sul cibo, il servizio, l’ambiente ecc.

Ho la sensazione che Fellini sia stato in qualche modo esaminato e bocciato da Castaneda, che ciò sia avvenuto a tavola e che la cosa abbia avuto conseguenze sul seguito del viaggio.

Il modo in cui stiamo a tavola e mangiamo non è un dettaglio trascurabile. Molte tradizioni spirituali sottolineano l’importanza di questo momento: chi sa controllarsi a tavola sa controllarsi anche in altre aree della vita. Senza andare troppo lontano nel tempo e nello spazio, ricordiamo che in italiano le “posate” si chiamano così perché vanno deposte tra un boccone e l’altro. Nella Quarta Via oggetto del presente blog, Gurdjieff (che secondo alcuni è stato molto letto e studiato da Castaneda) diceva a coloro che parlavano mentre mangiavano, che se Dio ci avesse dato due bocche, non c’era problema; ma siccome ce ne aveva data una sola, il mangiare doveva avvenire in silenzio. Diceva anche: “L’uomo non deve mangiare come un animale, ma consapevolmente” e “L’uomo che sa mangiare correttamente, sa anche pregare”. Modi diversi per dire la stessa cosa: bisogna mangiare con presenza.

Va da sé che in questa interpretazione si dà molto peso al poco che è stato detto da Castaneda, e poco al molto che è stato detto da altri. Sicuramente ci sono altri fattori: Fellini non eseguì gli esercizi che Castaneda gli aveva dato a Roma e questo può aver pesato sulleventuale “bocciatura”. Ma se tutta questa vicenda, come sembra, è un grande koan, non se ne verrà mai a capo. Ricavarne qualche lezione utile per il nostro presente sarebbe già tanto.

Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai


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