venerdì 30 gennaio 2015

La fontana delle tartarughe


Le strade migliori per arrivare alla fontana delle tartarughe sono Via dei Funari e Via di Sant’Ambrogio. Venendo da esse, si vedrà la fontana sullo sfondo di case antiche e si darà la schiena all'unico palazzone di fine Ottocento che incombe sulla piazza, schiacciandola.

Per qualunque via si acceda alla Piazza Mattei, comunque, l’attenzione sarà velocemente attratta dalla cinquecentesca fontana centrale. Essa, opera d’arte notissima (ne esiste una replica al centro di San Francisco), verrà qui trattata dal punto di vista degli insegnamenti della Quarta Via.

Il suo aspetto attuale risale ai tempi del Bernini, ovvero alla seconda metà del Seicento: quanto vediamo sarebbe dunque il frutto di un processo durato cento anni. 

Quattro efebi, mentre tengono sotto controllo altrettanti delfini, spingono in alto delle tartarughe, permettendo loro di abbeverarsi. L’acqua esce, in basso, dalla bocca dei delfini; in alto, dallo zampillo di una vasca a cui si abbeverano le tartarughe. L’aspetto dei delfini è ferino e selvaggio.

Delfini e tartarughe sono animali dalle caratteristiche opposte: veloci e istintivi gli uni, lente e pacate le altre. I primi possono simboleggiare la parte istintivo-animale dell’uomo; le seconde, quella spirituale-contemplativa. Quando vediamo gli emblemi rinascimentali del delfino con un'ancora o della tartaruga con una vela, sempre con il motto Festina lente ("Affrettati con lentezza"), siamo di fronte alla medesima congiunzione degli opposti. L’allegoria della fontana diventa allora: tenendo sotto controllo la parte animale in noi, permettiamo ai nostri centri superiori di nutrirsi.


Recentemente, nel Tempio Malatestiano di Rimini mi sono imbattuto in un altorilievo contemporaneo in cui la stessa idea è declinata al passivo. Qui gli animali opposti sono l'orso e la colomba. In basso vediamo l'orso domato; in alto la colomba che, rassicurata dalla docilità dell'orso, plana sulla mano della santa. Il nutrimento superiore è qui inteso come grazia che scende dall'alto, previo addomesticamento della parte ferina che potrebbe divorarla. Tutto ciò che la protagonista, non a caso una donna (Santa Colomba), deve ora fare è aspettare e ricevere. A Roma, invece, l'efebo rinascimentale controlla la parte ferina e allo stesso tempo spinge la tartaruga verso l'alto.

"Con l'animale interiore bisogna sempre lottare. Ma è anche necessario restarci amici, perché senza il suo aiuto è impossibile raggiungere lo scopo dell'insegnamento: creare un'anima." (Gurdjieff)

Le tartarughe bevono un liquido, l'acqua, prodotto dai delfini: ciò che esce dai centri inferiori è il carburante di quelli superiori. Nel Sistema si dice che il ricordo di sé è la sola cosa che non venga mangiata: al contrario, esso “deve mangiare le emozioni negative” (prodotte dal sé inferiore).

Osserviamo che la fontana non mostra un solo efebo, ma quattro. Siamo di fronte a un processo non solitario, ma collettivo e comunitario.

Gli efebi, come spesso accade, hanno un aspetto sereno e sembrano danzare. Il controllo dei centri inferiori (e il nutrimento di quelli superiori) avviene in modo giocoso, senza serietà né identificazione.

È noto che nei secoli le tartarughe sono state più volte trafugate e recuperate (o sostituite). I centri superiori sono la nostra parte più vulnerabile: come appaiono, così possono scomparire. Occorre esercitare una vigilanza costante.

Lume non è, se non vien dal sereno
che non si turba mai

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