giovedì 7 maggio 2015

La via di fuga



Un tempo, in ville e palazzi c'era una briciola d’infinito.

Alla Reggia di Caserta, il portone centrale si apre su una prospettiva di atri, vasche e cascate che si perdono all’orizzonte. Lo stesso schema – una porta che funge da cannocchiale sull’infinito – si rinviene altrove. Nel Seicento, gli Estensi avevano allestito nel loro Palazzo di Sassuolo un asse prospettico che, dal centro del cortile, raggiungeva gli Appennini tramite portoni, atri, fontane e viali alberati. A volte, quello che viene catturato nel vano d’una porta non è l’infinito, ma una semplice espansione di sé. Se tutti i portoni di Palazzo Santacroce a Roma (con annesse scuderie) fossero aperti, in un punto di Via Arenula si vedrebbe una prospettiva che chiude un atrio, due cortili e una strada, culminando in una fontana barocca. Ovviamente, in città contenere l’infinito in una porta è più difficile. L’asse Louvre-Tuileries-Champs Elysees è il primo e più noto esempio.

L’architetto di un tempo badava a costruire muri e tetti per proteggere la vita di tutti i giorni, ma anche a lasciare un varco da cui si intravedesse l’infinito: metafora dell’uomo, prigione con una crepa da cui è possibile evadere. L’evasione è fantastica, perché inanella cortili, terrazze e cascate come perle di una collana.

C’è uno e un solo punto in cui l’infinito ci raggiunge: uno scostamento di dieci centimetri basta a metterci sotto altri influssi, casuali e non organizzati. Quando troviamo il punto da cui parte l’infinito, la chiave entra nella serratura. L’uomo è in sintonia con qualcosa che lo trascende e lo richiama: una forza centripeta necessaria a non farlo irretire dai tanti, seducenti paesaggi laterali.

Trovare il punto di fuga è cominciare a vedere un disegno nella propria vita, una meta oltre se stessi. Mettersi nel punto giusto e scoprire l’infinito vuol dire cominciare a Lavorare.

Per trascendersi, l’essere umano deve conferire alla propria attenzione la precisione di un laser. Il cielo è un infinito “difficile”, che richiede la nostra dissoluzione; quello prospettato da un portone è un infinito iniziale, utile a muovere i primi passi.

L’uomo mette l’infinito in prospettiva per facilitarsi il cammino. Natura, scultura e architettura puntano nella stessa direzione, come i "fattori di ricordo" che "l’uomo astuto" dissemina nella propria vita per cercare di attenersi al suo scopo.

Una volta che siamo entrati in relazione con l’infinito, il cammino è cominciato. Esso è orchestrato dall’uomo per non farci perdere di vista la meta, ma quest’ultima è oltre l’uomo.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.

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