domenica 12 luglio 2015

Francis Roles, o come la Quarta Via arrivò (tornò?) in India


Il libro Ouspensky's Fourth Way di Gerald de Symons Beckwith, uscito quattro mesi fa in Inghilterra, colma un vuoto. Finora conoscevamo la scuola di Francis Roles, il "successore" di Ouspensky a Londra, attraverso testimonianze e opinioni esterne, non di rado velate da pregiudizi. Come dice il libro (pag. 129), in confronto a Gurdjieff e Ouspensky, Francis Roles "fu oggetto di ben scarse attenzioni, che quasi sempre liquidavano i suoi sforzi come pedanti o emulativi ... Francis Roles era però contento di ciò e continuava a volare libero, sopra e al di là del raggio dei radar".

Solo da pochi mesi, attraverso Ouspensky's Fourth Way, disponiamo di una testimonianza dall'interno di questa importante Scuola di Quarta Via (chiamata Study Society) e del suo fondatore, che fu l'equivalente per Ouspensky di ciò che Madame de Salzmann fu per Gurdjieff.

Come la De Salzmann, Roles introdusse nella Quarta Via la pratica della meditazione, da lui definita "un atto di amore verso il proprio Sé autentico, il proprio Creatore" (Voyage of Discovery - Sayings and Teachings of Francis C. Roles, New York 1992).

L'approdo alla meditazione avvenne nell'ambito della filosofia Advaita e sotto gli auspici dello Shankaracharya Shantananda Saraswati, il nuovo Maestro cui Roles arrivò attraverso il più noto Maharishi Mahesh Yogi. Il libro non lo dice, ma con "meditazione" dovremmo quindi intendere qualcosa di simile alla MT di quest'ultimo, ovvero la ripetizione interiore di un mantra o breve formula verbale. Siamo agli inizi degli anni Sessanta, quando una parte della gioventù occidentale cominciava a cercare il senso della vita in Oriente. C'era però una differenza tra Roles (con le sue centinaia di studenti) e il resto degli occidentali: i primi apparvero agli indiani molto più "preparati". Ciò era dovuto al lavoro svolto con Ouspensky, in particolare alla capacità di tenere sotto controllo l'attenzione. Nelle persone che non avevano questo retroterra, il tasso di abbandono della meditazione dopo pochi mesi era del novanta per cento, mentre per il restante dieci per cento spesso "la potente energia generata dalla pratica meditativa veniva deviata da ambizioni mondane, finendo con l'alimentare l'ego". La Scuola di Francis Roles venne riconosciuta, prima dal Maharishi e poi dallo Shankaracharya, come capace di produrre "gente preparata, in cui la meditazione poteva mettere radici e prosperare con speranze molto maggiori di successo".

Un'altra fonte orientale che arricchì la Study Society furono i dervisci mevlevi di Istanbul, giunti nel 1963 a Colet House (il quartier generale di Roles) grazie a uno studente turco. Molto prima di altri occidentali, dunque, i "discendenti" di Ouspensky cominciarono a danzare e roteare, in gran segreto, insieme ai "discendenti" di Rumi. La pratica prosegue ancora oggi. Lo Sheikh di Istanbul che acconsentì a insegnare danze dervisce a Londra fu, "casualmente", il nipote di quello che Ouspensky aveva incontrato a Costantinopoli quaranta anni prima. 

Da quando questo libro è apparso, più di un lettore si è chiesto: "Sto nella Quarta Via da anni, eppure non sapevo niente di Francis Roles e della sua Scuola. Com'è possibile?". Se qualcosa si sapeva, era solo tramite notizie vaghe e spesso negative, magari di ex studenti. A queste, però, non veniva data risposta: "Ogni Scuola subisce questi attacchi dai 'delusi', ma non può difendersi né rispondere a tono, perché così facendo tradirebbe i principi più elevati che reggono la sua esistenza. A sua difesa, una Scuola può solo respingere e restare muta davanti a coloro che manifestano rumorosa incomprensione" (p. 29). In ciò, Francis Roles seguiva le orme del suo Maestro Ouspensky, che restava silenzioso davanti all'attrito fornito dal suo Maestro Gurdjieff e persino dalla moglie Sophie.

Discrezione e basso profilo erano alla base del Lavoro. Come disse Roles nel discorso di fondazione della Study Society (14/1/1952): "Una delle cose più distruttive del nostro Lavoro è parlare di esso. Tutto il nostro Lavoro è volto a rafforzare la nostra mente interiore, che non si esprime tramite le parole. Parlare dell'arresto dei pensieri o del ricordo di sé non fa che aumentare il potere della nostra parte esterna e superficiale. I risultati devono trapelare solo dal nostro comportamento e dalle nostre azioni; pertanto, in questi incontri stabiliamo in modo chiaro che parleremo sempre e solo in modo impersonale".

Poi pinse l'uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate, ma facciovi accorti
che di fuor torna chi 'ndietro si guata”.

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